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giovedì 1 dicembre 2011

Non sono ì Confidi l'arma contro il credit crunch

I Confidi sono di nuovo al centro dell'attenzione della politica economica come strumento per affrontare
la crisi finanziaria. Tuttavia, designare questi enti quale braccio armato nella lotta alla crisi è quanto di più improprio si potesse fare. Da tempo, infatti, i Consorzi di garanzia fidi e i rispettivi stakeholder  temporeggiano nella ricerca di un equilibrio economico-finanziario e di un modello che riproponga un loro ruolo strategico nel mercato del credito, in grado di reinterpretare le istanze originarie in uno scenario completamente mutato, non solo a causa della crisi. In tale contesto di debolezza, non è certo delegando a tali operatori la sfida impossibile di «Ghostbusters» della crisi che li si può aiutare a trovare una via d'uscita. Oltre a queste, anche altre criticità rendono improprio oltre che improbo assegnare ai Confidi una funzione anticiclica. Si tratta di concentrazione del rischio, patrimonializzazione, dipendenza dal settore pubblico, dimensione, governance e professionalità. Questi elementi non caratterizzano tutti i 451 operatori oggi attivi, ma sicuramente rappresentano nella media una sintesi delle patologie di tale universo. Per quanto riguarda il primo punto, i Confidi, anziché ripartire i rischi, li concentrano per territorio e settore.I Consorzi dispongono di capitali esigui a fronte di riscili molto elidenti prodotto finanziario. Prediligono, infatti, ancora la dimensione localistica, considerato che operano per l'80% su scala provinciale, una focalizzazione prevalentemente settoriale, tanto che i Confidi multisettoriali sono ancora una minoranza. Soprattutto, si focalizzano sui finanziamenti a medio termine, con una quota del 74% delle garanzie rilasciate dagli ex art. 107. La patrimonializzazione e i fondi rischi dei Confidi, inoltre, è contenuta nonché dipendente in misura dal 30 al 50% dal sistema pubblico. Scarsamente patrimonializzati, i Confidi hanno dovuto affrontare un aumento di sofferenze e perdite significative (per gli art. 106 nel 2009 le perdite si sono triplicate rispetto al 2006, mentre gli ex art. 107 hanno registrato una perdita aggregata otto volte più grande
di quella del 2007). Per ammortizzare tali performance non è rimasto che rivolgersi al settore pubblico, ma le risorse pubbliche, che proprio in questi anni solo per la quota regionale hanno toccato quasi 1,8 miliardi di euro, si prevede siano in forte contrazione. Va poi considerato che negli ultimi due anni, in funzione della Comunicazione 2008/C 155/02 del 20 giugno 2008 della Commissione europea, queste risorse possono essere impiegate solo a fronte di confronti competitivi, criteri più selettivi e modalità d'intervento significativamente codificate. La parcellizzazione dei Confidi e le loro ridotte dimensioni non hanno, poi, contribuito a garantire economie di scala capaci di recuperare autofinanziamento, organizzazioni evolute e professionalità specializzate. Prova ne è il fatto che quasi il 17% dei Confidi di primo grado non ha nemmeno un dipendente, ben il 22% ne ha solo uno e quelli con meno di cinque dipendenti sono il 70%. Non si è realizzato nemmeno l'ampliamento del range dei servizi erogati, funzionale a perseguire un proprio equilibrio
economico e una più esaustiva risposta alla domanda delle imprese. La quota di ricavi non afferenti la prestazione di garanzie è infatti pressoché nulla nei Confidi maggiori (3% per gli ex  art. 107) e irrisoria nei Confidi di più contenute dimensioni (7-8% per gli ex art. 106). Mi permetto quindi di dubitare dell'opportunità di responsabilizzare questo mondo in funzione anticrisi offrendo così l'alibi a cospicui stanziamenti che sono stati all'origine di contese per il loro accaparramento, più che uno stimolo al cambiamento e, nello stesso tempo, che hanno parcheggiato nelle pieghe dei bilanci di questi operatori un livello consistente  di sofferenze. Marco Nicolai, docente di Finanza aziendale straordinaria all'Università di Brescia

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